La neurodivergenza non è solo un nome tecnico.
È quel nodo in gola che ti impedisce di dire.
Di sentirti a tuo agio.
Di riuscire ad affrontare.
È quell’esitazione davanti a una porta chiusa, anche se sai che potresti bussare.
Ma non osi.
È quella stanchezza che ti prende dopo aver parlato troppo.
È la convinzione che, se dici chi sei davvero, non vai bene.
E allora impari l’arte antica della maschera.
Quella che sorride quando vorresti restare in silenzio.
Quella che scherza, che risponde ai messaggi, che regge la parte.
Finché qualcuno non ti guarda un po’ troppo da vicino.
E allora tremi. Perché capisci che forse ti ha visto.
E sembra impossibile che tu possa andare bene proprio così.
Tu stesso non sei sicuro di saper piacere esattamente come sei.
Chi è neurodivergente spesso si difende senza nemmeno sapere da cosa.
Dal caos. Dal rumore. Dalla gente che invade. Dalle emozioni che traboccano.
Dal giudizio.
Dalla possibilità che qualcuno entri — e trovi quello che c’è davvero.
E allora molti restano a distanza.
Non per mancanza di interesse.
Ma per eccesso di verità.
Perché quando desideri davvero, il rischio fa più paura.
E forse c’è qualcuno, proprio ora, che fa un passo avanti e uno indietro.
Che ti guarda da lontano e pensa: “Se mi avvicino, mi scopre.”
Qualcuno che vorrebbe, ma teme che sia l’inizio del crollo.
Perché una volta che si crolla, non si torna più indietro.
Se conosci qualcuno così, non chiedergli di essere diverso.
Non chiedergli di essere facile.
Chiedigli solo una cosa: di non fingere.
𝐋𝐞 𝐦𝐚𝐬𝐜𝐡𝐞𝐫𝐞 𝐩𝐞𝐬𝐚𝐧𝐨.
Perché se smette di fingere, ti regala l’unica cosa che ha davvero: sé stesso.
Autentico. Crudo. Vivo. Meraviglioso, esattamente così com’è.
E se sei tu quello che si nasconde, sappi che non sei solo.
Ci sono altri come te.
Che si mimetizzano tra la gente e aspettano che qualcuno, finalmente, dica:
“𝐀𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐨 𝐟𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 𝐟𝐚𝐭𝐢𝐜𝐚.”
Marie Helene Benedetti
Presidente dell’associazione Asperger Abruzzo